So I am very
sensitive about all things expat.
I
get particularly upset when it’s people who’ve never stretched one single toe
outside of their comfort zone, who get judgmental.
In a post by Australian expat-blogger, Kristy Rice called WHAT DO YOU DO ALL DAY? she recounts the time when, due to a broken ankle while her family was posted
overseas, she suddenly had to delegate all
her duties and responsibilities to her lovely husband.
The title of the
posts cleverly refers to the general belief that expat wives have nothing to
do. But once her husband finds himself in her shoes, he suddenly realizes that
there is much more than Starbucks meet-ups with friends occupying Kristy’s
life.
In her balanced, lovely style, Kristy serves up a constructive happy ending.
She finishes with a smile, and so did I.
Until I read some
of the comments.
Many are cute, but then the usual smartass who cannot help but pass judgement, had to deliver her sermon.
“This article
reminded me of how much I don’t want
this lifestyle…”
Fair enough, you
need to be cut for it anyway.
“I’m hoping that by better balancing work and life for
both of us, one wouldn’t be so overwhelmed, frustrated and clueless if
something were to happen to the other.”
That’s when the
giggle started…
“I want both of us to be able to manage both home
and work”
I was rolling
around the floor with laughter by now.
“So, this is a
good cautionary tale of how not to set
up my life.”
At this point I
turned blue and an ambulance had to be called.
Cautionary tale my ass, lady. This is expatriate living,
nothing is balanced, there is no balance,
it’s like those zero-gravity planes, it’s a mess of bodies and random objects floating around and sometimes bumping into each other to exchange the blame and
try to recap, and then it’s off again.
Whichever way you
“want to set up your life”, once the
expat curse strikes, it’s all just up to the good old saying: THE ROAD TO HELL IS PAVED WITH GOOD
INTENTIONS.
Expatriate living
is based on the principle of the
supporting spouse. SUPPORTING.
Like the
Wonderbra, which stays hidden, but keeps everything up and plump.
Like the trapeze
artists’ safety net, stretched out to its limit to be ready in case something
happens.
Like Michael
Collins, never heard about him, right? But everybody knows Armstrong and
Aldrin, of course! They were the lunar expat-husbands
getting all the glamour and attention, Mr. Collins was the lunar expat-wife, the one who circled the
moon on the Command Module waiting for the other two to be done with their
show-off leaps and other acts of bravery, to catch them and bring them safely back
to earth.
Except expatriate
husbands hardly ever want to come back to earth.
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Sono molto
sensibile riguardo a tutto ciò che
riguarda noi expat. Me la prendo particolarmente quando sono quelle persone
che non hanno mai messo nemmeno un dito al di fuori della propria comfort zone a cagar sentenze.
Seguo una expat-blogger australiana, Kristi Rice. In uno dei suoi post,
intitolato MA COSA FAI TUTTO IL GIORNO? racconta di quando, durante un’assegnazione internazionale, a causa di
una caviglia rotta, si era vista costretta a delegare tutte le sue responsabilità famigliari al marito.
Il titolo del
post si richiama all’opinone generale che le mogli expat non abbiano
assolutamente niente da fare. Quando però suo marito si è visto costretto a
sostituirla, si è reso conto che le giornate di Kristi erano fatte di ben altro
che non pomeriggi da Starbucks con le amiche.
Nel suo solito
stile obbiettivo e bilanciato, Kristi giunge ad una conclusione costruttiva
della vicenda. Finisce con un sorriso, e così ho fatto anch’io leggendo il suo
post.
Finché non ho
letto i commenti.
La maggior parte
sono carini, ma poi la solita secchia che non
può fare a meno di impartire lezioni di vita, ha dovuto dire la sua.
“Questo articolo
mi ha ricordato quanto io non desideri assolutamente questo tipo di vita.”
Vabbé, mica tutti
ci sono tagliati.
“Spero che
trovando un equilibrio migliore tra
lavoro e vita (privata) per entrambi, non ci troviamo mai nella situazione
di essere così spiazzati, se succedesse qualcosa ad uno dei due.”
E qui ho iniziato
a ridacchiare.
“Voglio che
entrambi ci occupiamo in egual misura
del lavoro e della casa.”
E giù a rotolarmi
per terra ridendo istericamente.
“Quindi questa storia è
un ammonimento su come non vorrei mai organizzare
la mia vita.”
A questo punto
ero diventata viola e si è dovuto chiamare un’ambulanza.
Cara ragazza,
dimentichi che stiamo parlando di vita expat, non esiste equilibrio, è tutto sbilanciato, è come in quegli aerei
che volano in assenza di gravità, un casino di corpi e oggetti sospesi per aria
che a volte per caso si incrociano, si danno la colpa a vicenda, cercano di
fare il punto della situazione e poi ripartono.
In qualunque modo
tu voglia “organizzare la tua vita”, una volta che la maledizione expat ti becca, l’unica legge che vale è il famoso
detto secondo cui LE STRADE DELL’INFERNO SONO LASTRICATE DI BUONE
INTENZIONI.
La vita expat si
basa sul principio del coniuge di supporto.
DI SUPPORTO!
Come il reggiseno
imbottito, che sta nascosto ma tiene su tutto.
Come la rete di
sicurezza dei trapezisti, stirata al limite delle sue possibilità per essere
pronta nel caso che succeda qualcosa.
Come Michael
Collins, mai sentito nominare, vero? Ma tutti naturalmente conoscono Armstrong
e Aldrin! Loro erano i due mariti-expat,
quelli che si godono le lodi e le attenzioni di tutti, mentre Mr. Collins era
la moglie-expat, quella sospesa in
orbita nel Modulo di Comando in attesa che gli altri due la finissero di
pavoneggiarsi coi loro balzi lunari e altre prodezze per poterli riacchiappare
e riportare indietro al sicuro a terra.
Solo che putroppo
i mariti expat raramente vogliono rimettere i piedi per terra.
(pic by me, all rights reserved)
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